alimentazione endometriosi

Alimentazione Endometriosi: informazioni utili

L’endometriosi è una condizione clinica complessa e spesso debilitante che colpisce milioni di donne in tutto il mondo. Mentre la ricerca continua a indagare su cause e cure, in molte si chiedono: alimentazione ed endometriosi hanno un legame?

Comprendere l’endometriosi

L’endometriosi è caratterizzata dalla presenza di tessuto simile a quello della mucosa uterina al di fuori dell’utero. Questo tessuto può causare infiammazione, dolore cronico, e in alcuni casi, problemi di fertilità. Mentre l’approccio medico tradizionale include terapie ormonali e interventi chirurgici, molte donne cercano anche soluzioni attraverso modifiche dello stile di vita, compresa l’alimentazione.

Endometriosi: quanto incide l’alimentazione?

Una dieta bilanciata e mirata può influire positivamente sulla sintomatologia legata all’endometriosi. Alcuni alimenti possono contribuire a ridurre l’infiammazione nel corpo, alleviare il dolore e migliorare la funzione del sistema immunitario. Ma non è tanto l’abbondanza di questi a dare giovamento, quanto la carenza a peggiorare la sintomatologia. Tra questi l’elemento più importante sono gli Omega 3, molto presenti nei pesci dalla percentuale alta di grasso (es. salmone).

3 consigli per una dieta bilanciata

  1. Consumare abitualmente pesce. Dalle 2 alle 3 volte a settimana è consigliabile consumare pesce come salmone, tonno, aringa, merluzzo. Qualora foste vegetariane, potete trovare una buona dose di Omega 3 nelle alghe e in certi tipi di semi o frutta secca (es. noci o semi di lino)
  2. Limitare l’assunzione di alimenti che contribuiscono ad aumentare l’infiammazione: Ridurre il consumo di cibi ricchi di grassi saturi, zuccheri aggiunti e alimenti altamente processati, che possono contribuire all’infiammazione.
  3. Bilanciare gli ormoni: Alcuni alimenti possono influire sugli ormoni. Tra questi ci sono sicuramente alcol e caffeina che sono tra i più influenti. Limitare fortemente quindi l’assunzione di alcol mensile e ridurre i caffè a massimo due al giorno. DIbattuto è il ruolo della soia, a causa dell’alto contenuto di fito ormoni. Nel dubbio, qualora consumaste abitualmente soia, è sempre buona norma cuocerla per inattivare queste molecole che secondo alcuni possono essere fastidiose.

In sintesi, l’alimentazione può essere d’aiuto nella gestione dei sintomi legati all’endometriosi. Tuttavia, è fondamentale comprendere che non esiste una cura alimentare per questa condizione. Le donne che soffrono di endometriosi dovrebbero lavorare in collaborazione con i professionisti della salute per sviluppare un piano di gestione completo che includa sia l’aspetto medico che quello nutrizionale.

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diarrea cani

Diarrea Cani: alimentazione e prevenzione

La diarrea nei cani è un problema molto comune. Molti padroni vagano alla ricerca di cause senza però, per un attimo, provare a riflettere su quella che è l’alimentazione del proprio cane. Spesso, la dieta del tuo animale domestico può svolgere un ruolo significativo nello sviluppo della diarrea. In questo articolo, esploreremo le cause della diarrea nei cani legate all’alimentazione e forniremo suggerimenti su come prevenirla.

Cause della Diarrea nei Cani Legate all’Alimentazione

Cambiamenti improvvisi nella dieta: Uno dei principali fattori scatenanti della diarrea nei cani è un cambio improvviso nella loro alimentazione. Quando il tuo cane è esposto a cibi nuovi o una dieta completamente diversa da quella a cui è abituato, il suo sistema digestivo potrebbe reagire negativamente. I cani hanno infatti bisogno di tempo per adattarsi al nuovo equilibrio dato da una nuova dieta. Anche un semplice cambio di gusto delle crocchette, seppur la marca rimanga la stessa, può causare problemi digestivi.

Alimenti scadenti: Alcuni alimenti per cani economici o di bassa qualità possono contenere ingredienti pessimi o additivi artificiali che possono irritare il tratto gastrointestinale del tuo animale. È importante leggere attentamente l’etichetta degli alimenti per cani e scegliere quelli di alta qualità.

Sovralimentazione o sottoalimentazione: Dare al tuo cane troppo cibo o non fornirgli la quantità di cibo necessaria può influire sulla sua salute digestiva. Troppi spuntini o porzioni eccessive possono portare a diarrea, mentre una dieta carente può causare problemi di salute a lungo termine.

Eccesso di carboidrati

Su quest’ultimo punto, in particolare, è fondamentale chiarire il ruolo dei carboidrati nella dieta dei cani. Oggi è altamente dibattuta la gestione dei carboidrati nei cani, ma molto spesso non si conosce il perchè di questa diatriba.

Gli enzimi digestivi sono fondamentali per scomporre i nutrienti contenuti negli alimenti in molecole più piccole che possono essere assorbite dall’organismo. Tra questi enzimi, l’amilasi è responsabile della digestione dei carboidrati complessi, come l’amido, in zuccheri più semplici come il glucosio.

Nei cani, le amilasi sono presenti in quantità molto minori rispetto agli esseri umani, il che significa che i cani hanno una capacità limitata di digerire i carboidrati. Questa è una caratteristica ereditaria e risale ai lupi, i progenitori dei cani domestici, che avevano una dieta prevalentemente carnivora. Pertanto, i cani sono adattati a una dieta ricca di proteine e grassi.

Tuttavia, l’evoluzione ha portato alla diversificazione delle diete canine e all’adattamento a una certa quantità di carboidrati. Molti alimenti per cani contengono una certa quantità di amido, che può essere utile per la produzione di cibo secco o come fonte di energia a lungo termine. Ma è importante comprendere che i cani non sono ottimi digeritori di carboidrati complessi, eccessivi carboidrati nella dieta possono causare problemi digestivi, tra cui la diarrea.

    Come Prevenire la Diarrea Legata all’Alimentazione nei Cani

    1. Introduci cambiamenti graduali: Se devi modificare la dieta del tuo cane, fallo gradualmente. Mescola la nuova alimentazione con quella precedente per alcuni giorni, aumentando gradualmente la quantità della nuova dieta. Questo aiuterà il sistema digestivo del tuo cane a adattarsi senza causare stress.
    2. Scegli alimenti di alta qualità: Investi in alimenti di alta qualità formulati appositamente per le esigenze del tuo cane. Questi alimenti contengono ingredienti di migliore qualità e possono aiutare a prevenire reazioni avverse.
    3. Limita gli snack ricchi di carboidrati: Evita di somministrare eccessivi snack e premi ricchi di carboidrati al tuo cane, specialmente se ha una sensibilità ai carboidrati.
    4. Scegli alimenti bilanciati: Opta per alimenti per cani di alta qualità che contengono una quantità adeguata di carboidrati facilmente digeribili. Leggi attentamente le etichette per conoscere la composizione nutrizionale.

    In sintesi, la diarrea nei cani può essere causata da diversi fattori legati all’alimentazione. È importante essere consapevoli dell’importanza di una dieta equilibrata e di alta qualità per la salute del tuo animale domestico. In caso di problemi digestivi persistenti, consulta il tuo veterinario per una valutazione accurata e raccomandazioni specifiche. La prevenzione è la chiave per mantenere il tuo cane felice e sano, evitando problemi gastrointestinali legati all’alimentazione.

    Se hai bisogno di un consulto e sei di Udine, prenota una visita con me.

    Rankovic et al, Role of carbohydrates in the health of dogs, journal of the american veterinary association, 1 september 2019, volume 255, issue 5

    mima digiuno

    mima digiuno: cosa devi sapere

    La dieta Mima Digiuno è diventata una tendenza negli ultimi anni, promettendo benefici per la salute e la perdita di peso. Penso sia quindi interessante offrire una visione di settore per aiutarti a capire se questa sia la scelta più adatta a te.

    Cos’è la Dieta Mima Digiuno?

    La dieta Mima Digiuno è un protocollo alimentare a basso contenuto calorico che dura generalmente dai 3 ai 5 giorni. Durante questi giorni, si consumano poche calorie provenienti da alimenti soprattutto di origine vegetale. Questo protocollo alimentare è stato inventato e reso famoso dallo scienziato Valter Longo. L’obiettivo dichiarato è quello di “mimare” i benefici del digiuno, come la pulizia cellulare e la riduzione dell’infiammazione, senza dover affrontare il disagio del digiuno completo.

    I Presunti Benefici:

    I sostenitori della dieta Mima Digiuno affermano che essa possa portare a una serie di benefici per la salute, tra cui:

    1. Perdita di Peso: La riduzione delle calorie potrebbe portare a una perdita di peso significativa.
    2. Detossificazione: Si crede che questa dieta possa aiutare a liberare il corpo da tossine accumulate.
    3. Aumento dell’Aspettativa di Vita: Alcune ricerche suggeriscono che il digiuno intermittente possa aumentare l’aspettativa di vita.

    Le Critiche alla Dieta

    Tuttavia, è importante notare che nonostante i potenziali vantaggi, ci sono anche numerose critiche e preoccupazioni associate a questa dieta:

    1. Sicurezza: La dieta Mima Digiuno non è adatta a tutti, e le persone con determinate condizioni mediche dovrebbero evitarla.
    2. Perdita Muscolare: Durante la dieta, c’è il rischio di perdere massa muscolare a causa dell’apporto calorico estremamente limitato.
    3. Sostenibilità: La dieta Mima Digiuno può essere difficile da seguire a lungo termine, il che potrebbe portare a un effetto yo-yo sulla perdita di peso.
    4. Necessità di Supervisione: Un piano di dieta così specifico richiede la consulenza di un professionista della salute o di un nutrizionista.

    Ma cosa ancora più importante la ricerca scientifica ha fornito solamente dati preliminari (principalmente su animali) sui benefici di un approccio di questo tipo e la letteratura scientifica di riferimento non è completo quanto quella di una dieta più “rodata” come la mediterranea. Non ci sono inoltre evidenze a lungo termine.

    La dieta Mima Digiuno è un argomento sicuramente interessante, ma complesso che richiede un’attenta analisi. Prima di intraprenderla, è essenziale consultare un professionista della salute o un nutrizionista per garantire che sia adatta al tuo stato di salute e ai tuoi obiettivi. Inoltre essa è legata all’acquisto di pacchetti preconfezionati di alimenti da consumare durante il protocollo. Sicuramente è possibile acquistare questi alimenti anche in autonomia, ma questo aspetto ci fa capire come (senza necessariamente giudicare in maniera negativa la cosa) questa sia legata indissolubilmente ad una manovra di marketing.

    Mentre questa dieta potrebbe offrire benefici, è importante notare che non esiste una “taglia unica per tutti” quando si tratta di nutrizione. La chiave per una salute a lungo termine è una dieta equilibrata, varia e sostenibile.

    Se desideri ulteriori informazioni sulla dieta Mima Digiuno, sei di Udine e dintorni e desideri discutere le tue opzioni dietetiche, non esitare a contattarmi o a prendere appuntamento.

    Bibliografia

    A Periodic Diet that Mimics Fasting Promotes Multi-System Regeneration, Enhanced Cognitive Performance, and Healthspan, Cell Metab, 2015 Jul 7;22(1):86-99.

    Time-Restricted Feeding and Intermittent Fasting as Preventive Therapeutics: A Systematic Review of the Literature, Cureus, 2023 Jul 22;15(7):e42300. doi: 10.7759/cureus.42300.

    Sitografia

    https://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/dieta-mima-digiuno.html

    pane tostato

    Pane Tostato: Vantaggi per l’Indice Glicemico e la Salute

    Molte persone, dopo aver ricevuto la dieta, mi chiedono: “perchè devo mangiare pane tostato?”. In questo articolo, esploreremo i vantaggi del pane tostato rispetto a quello fresco in relazione all’indice glicemico, offrendo alcuni spunti per aiutarti a prendere decisioni più consapevoli sulla tua alimentazione.

    Comprendere l’Indice Glicemico

    Prima di addentrarci nella differenza tra pane tostato e fresco, è fondamentale capire cos’è l’indice glicemico (IG). L’IG è una scala che misura la velocità con cui un alimento aumenta i livelli di zucchero nel sangue dopo essere stato consumato. Alimenti con un IG più basso causano un aumento graduale dei livelli di zucchero nel sangue, mentre quelli con un IG elevato possono provocare picchi glicemici.

    Il pane tostato ha un IG leggermente più basso rispetto al pane fresco. Questa differenza è dovuta al processo di tostatura, che riduce la capacità dell’amido nel pane di essere digerito rapidamente. Di conseguenza, dare una leggera tostatura al pane può contribuire a mantenere più stabili i livelli di zucchero nel sangue.

    Per coloro che cercano di controllare il peso o gestire il diabete, quindi, il pane tostato può essere una scelta saggia. Poiché l’IG più basso aiuta a prevenire picchi glicemici, si riduce la sensazione di fame e l’impulso a consumare cibi ad alto contenuto calorico. Questo può essere un contributo significativo a una dieta equilibrata.

    Cosa spalmare sul pane tostato?

    I topping con cui consumare il pane hanno allo stesso modo un ruolo fondamentale nella gestione dell’IG. Le scelte più sane includono l’avocado, il salmone affumicato, o le uova, che apportano grassi salutari e proteine. Ma se sei una persona che preferisce il dolce hai comunque una vasta scelta: burro d’arachidi e crema di frutta secca (nocciole, mandorle, anacardi 100%) sono una scelta altrettanto consigliabile che può aiutarti anche a tenere a bada la fame nelle ore successive. Anche il burro, se inserito all’interno di una dieta equilibrata, può essere un’ottima scelta.

    Conclusioni:

    Il pane tostato offre vantaggi per il controllo dell’indice glicemico grazie al suo IG leggermente più basso rispetto al pane fresco. Tuttavia, la scelta tra i due dipende dalle esigenze individuali e dall’obiettivo nutrizionale. L’importante è fare scelte consapevoli, bilanciando il proprio consumo di pane con altri alimenti che compongono una dieta equilibrata.

    La decisione tra pane tostato e fresco può influenzare la gestione del tuo indice glicemico, ma ricorda che la tua dieta complessiva è la chiave per una buona salute. Consulta sempre un professionista della nutrizione per ottenere una guida personalizzata in base alle tue esigenze specifiche.

    Se sei di Udine o dintorni e vuoi prenotare una visita con me, puoi farlo direttamente dal sito cliccando su questo link, oppure tramite mail, whatsapp o cellulare.

    intolleranze alimentari e pseudoscienza

    Intolleranze Alimentari: come riconoscere test pseudoscientifici

    Le intolleranze alimentari sono un problema serio che può causare disagi significativi. Tuttavia, negli ultimi anni, si è diffusa una serie di pratiche pseudoscientifiche che promettono di identificare le intolleranze alimentari attraverso test non attendibili. In particolare tutti quei test non effettuati in ospedale, ma che vengono proposti in ambulatori privati o farmacie devono far drizzare le antenne perchè spesso non sono scientificamente validati. In questo articolo andiamo a definire cosa sono le intolleranze alimentari e quali test pseudoscientifici non bisogna prendere in considerazione quando si sospetta un disturbo di questo tipo.

    Cosa sono le intolleranze alimentari?

    Prima di immergerci nelle pratiche pseudoscientifiche, è importante capire di cosa stiamo parlando. Un’intolleranza alimentare si verifica quando il corpo ha difficoltà a digerire un particolare alimento. Questo può causare sintomi come gonfiore, diarrea, crampi addominali e altri disturbi digestivi. Tutt ciò è generalmente causate da una carenza di enzimi digestivi specifici: in mancanza di lattasi si manifesta l’intolleranza al lattosio.

    Le uniche intolleranze alimentari riconosciute sono quest’ultima e l’intolleranza al glutine ed entrambe devono essere diagnosticate da un medico specialista: non da nutrizionisti o altre figure sanitarie non afferenti all’ordine dei medici. Lo specialista di riferimento è il gastroenterologo.

    Pratiche Pseudoscientifiche e il test delle Intolleranze Alimentari

    Negli ultimi anni, sono diventati molto popolari i test delle intolleranze alimentari che promettono di identificare in modo preciso gli alimenti responsabili dei sintomi sopra descritti. Altre volte, addirittura, i test hanno l’obiettivo di riconoscere quali alimenti siano responsabili di ingrassamento anomalo: non esiste evidenza che dimostri che singoli cibi possano causare un aumento di peso come conseguenza di un un qualche tipo di intolleranza.

    Molti di questi test, se non tutti, sono privi di validità scientifica e spesso si basano su pseudoscienza e ciarlatanerie che mancano di qualsivoglia elemento di letteratura sceintifica a supporto. Ecco riassunte le ragioni per cui dovremmo essere scettici di tali pratiche e starne alla larga:

    1. Assenza di Prove Scientifiche: Molti test delle intolleranze alimentari non sono supportati da prove scientifiche solide. Non esiste un consenso nella comunità scientifica riguardo ai metodi utilizzati in questi test.
    2. Variabilità dei Risultati: I risultati di questi test possono variare da un giorno all’altro, rendendoli poco affidabili. Ciò significa che un alimento potrebbe essere identificato come “non tollerato” in un momento e “tollerato” in un altro.
    3. Diagnosi Incomplete: Questi test spesso individuano una lunga lista di alimenti “non tollerati”, senza considerare la quantità o la frequenza con cui dovrebbero essere evitati. Ciò può portare a diete estremamente limitanti e poco realistiche.

    Quali sono i test riconosciuti dalla comunità scientifica?

    Il breath test è l’unico riconosciuto dalla comunità scientifica per la diagnosi di un’intolleranza alimentare. Si effettua in ospedale soffiando all’interno di un apposito strumento dopo aver ingerito una quantità misurata di lattosio. Questo test è infatti specifico per questo oligosaccaride.

    L’intolleranza al glutine, invece, intesa come malattia celiaca, viene diagnosticata mediante test sierologici preliminari seguiti poi da biopsia dei villi intestinali effettuata mediante gastroscopia (esofagogastroduodenoscopia). E’ possibile, inoltre, effettuare dei test genetici, per indagare la predisposizione alla celiachia. Per approfondire leggi questo articolo.

    Il Ruolo del Nutrizionista Professionista

    Il migliore approccio per affrontare le intolleranze alimentari correttamente diagnosticate è consultare un nutrizionista o un dietologo professionista. Questi esperti possono condurre un’accurata valutazione delle abitudini alimentari, dei sintomi e delle reazioni individuali per venire incontro al paziente con un’alimentazione indicata. Inoltre, possono fornire consigli basati su prove scientifiche per gestire le intolleranze in modo sano ed equilibrato.

    Conclusione

    Mentre è comprensibile cercare risposte alle proprie intolleranze alimentari, è fondamentale evitare pratiche pseudoscientifiche come i test delle intolleranze. Affidarsi a prove scientifiche e consulenza specializzata è la chiave per garantire una dieta sana e bilanciata.

    Investire nella propria salute richiede un approccio basato sulla scienza, e questo vale anche per le intolleranze alimentari. Non lasciatevi ingannare da promesse vuote e scelte pseudoscientifiche. Optate per la consulenza di un gastroenterologo e di un professionista della nutrizione per un percorso sicuro verso una vita più sana e al benessere.

    Se sei intollerante al lattosio e cerchi un nutrizionista per un’alimentazione che tenga in considerazione questo tuo disturbo, prenota una visita.

    Fonte: https://www.humanitas.it/visite-ed-esami/il-test-delle-intolleranze-alimentari/

    alimentazione infortunio

    Infortuni: il ruolo dell’alimentazione nella prevenzione

    L’infortunio è una cosa con cui bisogna fare i conti quando si pratica sport. Molti atleti hanno sperimentato sulla propria pelle lo spiacevole evento di farsi male per un movimento sbagliato o per un incidente. Come in molti altri ambiti, la prevenzione gioca un ruolo fondamentale nel prevenire un infortunio o nel recupero successivo al trauma.

    Come sempre l’alimentazione non è da intendersi come una terapia e non si deve cadere nell’errore di credere che essa abbia il potere magico di preservarci da qualsiasi problema di salute. Inoltre essa è solo uno degli aspetti da curare in tema di prevenzione dagli infortuni e affianca l’importantissimo aspetto della corretta preparazione atletica, centrale in questo ambito. Curare la routine alimentare è un dovere e un’accortezza che non può mancare nella quotidianità di un atleta, sia per migliorare la prestazione, sia per limitare la possibilità di farsi male.

    Prevenzione dell’infortunio: la corretta alimentazione

    Alla base c’è sempre l’alimentazione corretta. Nutrire con accortezza il proprio corpo non è una cosa da iniziare a fare durante la fase acuta di un problema. Mangiare le cose giuste al momento giusto di giorno in giorno permette di sviluppare muscoli più prestanti che sono in grado di resistere meglio al trauma e a recuperare il tono con più facilità e velocità.

    Trascurare una corretta alimentazione significa indebolirsi e di conseguenza il nostro organismo reagirà con maggiore difficoltà a fronte di un qualsasi problema di salute o acciacco , allungando i tempi di recupero e aumentando le possibilità di danni muscolari o ossei.

    Come per qualsiasi cosa, anche in tema di infortuni, è l’alimentazione che abbiamo costruito nel quotidiano che ci permette di non aumentare il rischio di farci male.

    I nutrienti chiave

    L’eccesso di un singolo nutriente non avrà mai l’effetto di migliorare un qualche aspetto della nostra salute o del nostro benessere. Piuttosto è la carenza ad esporre l’organismo a rischi, andando a limitarne le funzionalità che diverrebbero inevitabilmente meno efficienti.

    Per quanto riguarda la salute del tessuto muscolare le carenze di proteine, specifici aminoacidi, creatina o omega 3 sembrano avere un ruolo nell’aumentare il rischio di infortunio e provocano una maggiore durata dei tempi di recupero.

    Per evitare di alimentarsi con una scarsa scelta di aminoacidi è sufficiente variare la fonte di proteine durante la settimana: non è consigliabile fissarsi sulla carne e soprattutto non su una singola varietà (ad es. pollame), ma è molto importante variare ricordandosi che ottime fonti di proteine sono anche: pesce, legumi, latticini o uova. La creatina è molto presente nella carne rossa ed è diffusa sul mercato sotto forma di integratore da assumere sotto stretto controllo di un esperto della nutrizione. Gli omega 3 sono allo stesso modo diffusi come integratore, ma sono presenti anche nel pesce, nella frutta secca e in diverse tipologie di verdura.

    Buona regola è sempre preferire l’assunzione di alimenti per mezzo di cibo piuttosto che pastiglie o altro tipo di integrazione.

    L’onnipotenza degli antiossidanti

    Gli antiossidanti riempiono spesso le pagine dei blog o la bocca di “esperti” della nutrizione. Vengono troppo frequentemente considerati come una sorta di santo Graal della salute. Tra tutti la vitamina C è da anni al centro di dibattiti che vedono contrapposte fazioni che la ritengono miracolosa e fazioni che la trattano per quello che è: un nutriente importante che svolge il proprio ruolo chiave all’interno dell’organismo quando presente nelle giuste quantità.

    Nonostante si sia diffusa la voce che gli antiossidanti giochino un ruolo fondamentale nel recupero da un infortunio, questa correlazione non è mai stata dimostrata e, anzi, sembra, secondo alcune ricerche, che eccessi di antiossidanti possano allungare i tempi del recupero muscolare.

    Bibliografia

    Turnagol et al, Nutritional Considerations for Injury Prevention and Recovery in Combat Sports, Nutrients. 2022 Jan; 14(1): 53.

    vino e salute

    Un bicchiere di vino al giorno toglie il medico di torno: è davvero così?

    Nelle ultime settimane ha fatto scalpore la notizia che l’Unione Europea abbia dato il via libera all’Irlanda di apporre sulle bottiglie di vino, birra e liquori avvertenze in merito agli effetti negativi che queste bevande hanno sulla salute del consumatore.

    Senza entrare nel dibattito politico, penso sia utile fare il punto sulla questione, in merito a presunti effetti positivi dell’alcol.
    Vino, birra e spiriti sono parte integrante della nostra tradizione culinaria, ma spesso ne facciamo un consumo poco consapevole. Tuttavia, oltre agli aspetti edonistici e culturali, dobbiamo considerare anche quelli salutistici.

    Vino, alcol e salute

    È ormai conclamato come in realtà l’assunzione di bevande alcoliche non comporti alcun beneficio per la salute. Si è parlato di possibili effetti protettivi che l’alcol avrebbe nei confronti di alcune malattie, come ad esempio quelle cardiovascolari, tanto da
    sostenere che “un bicchiere di vino rosso al giorno faccia bene al cuore”. L’equivoco nasce dal cosiddetto “paradosso francese”.

    Negli anni 80 alcuni studiosi avevano notato come tra la popolazione francese ci fosse una minore mortalità per malattie cardiovascolari, nonostante si facesse ampio consumo di formaggi e quindi di grassi saturi e il consumo di vino, soprattutto vino
    rosso, fosse molto frequente tra la popolazione. Si è così ipotizzato che il vino rosso fosse il responsabile di questo effetto protettivo e che una moderata assunzione di esso limitasse il sopraggiungere di malattie cardiovascolari.

    Studi successivi si sono quindi focalizzati nello studio di quali molecole del vino potessero avere questa azione, tra queste troviamo acidi fenolici, stilbeni, flavonoidi, sostanze antiossidanti e antiinfiammatorie che in realtà sono presenti in quantità significativamente maggiori in frutta e verdura rispetto al vino. Alcuni studi hanno evidenziato come il consumo di piccole quantità di alcol abbia un effetto protettivo nei confronti di alcune patologie cardiovascolari rispetto non solo a chi eccede con l’alcol ma anche a chi è astemio.

    vino

    L’alcol non toglie il medico di torno


    Approfondimenti successivi hanno messo in luce come in realtà chi non consumava alcol aveva un rischio maggiore poiché era sovrappeso o obeso, aveva la pressione alta e non faceva attività fisica. Alcuni studi hanno evidenziato come il consumo di alcol in piccole quantità sia associato ad un minore rischio di cardiopatia ischemica, diabete di tipo 2, ma non per altre patologie come
    ipertensione, ictus emorragico, dove a fronte di qualsiasi livello di assunzione di alcool è associato un aumentato del rischio.

    In seguito ad altri studi, gli studiosi hanno potuto affermare che in realtà anche un consumo ridotto di alcol di 1 unità alcolica, che sarebbe pari ad 125 ml di vino o 330 ml di birra, non riduce il rischio il rischio di alcun tipo di malattia cardiovascolare
    e non ha nessun effetto protettivo sulla salute.

    Alcol e cancro


    I danni causati dall’alcol non sono solo a carico del sistema cardiovascolare, ma anche del fegato e tutto il sistema digerente, causando infatti esso gastriti, ulcere, cirrosi epatica e anche il cancro. Uno dei principali problemi per cui si consiglia limitare il più possibile il consumo di bevande alcoliche sta proprio nel fatto che l’alcol è stato classificato dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) come sostanza tossica e cancerogena, in particolare si classifica nel gruppo 1 delle sostanze “certamente cancerogene per l’uomo”.

    Ciò non vuol dire che bere un bicchiere di vino faccia venire automaticamente il cancro, ma berne in grande quantità con una certa frequenza aumenta di molto il rischio che ciò possa accadere. In virtù di tutte queste ripercussioni sulla salute, le Linee Guida nazionali per una Sana Alimentazione pongono le bevande alcoliche tra gli “alimenti voluttuari” per i quali quindi non c’è nessuna raccomandazione di assunzione settimanale, se non quella di non consumarli per niente se si è astemi oppure limitarsi ad un consumo occasionale in moderate quantità.

    Per l’alcol infatti non esistono modalità e quantità di assunzione esenti da rischio, esiste semmai una quantità che vien definita “a basso rischio” che si associa a 2 unità alcoliche al giorno per l’uomo adulto e 1 unità al giorno per la donna.

    I benefici della convivialità


    Per rispondere quindi alla domanda iniziale, la risposta è no, il consumo di vino non allunga la vita. Questo però non deve privarci del tutto del piacere di un buon bicchiere di vino in compagnia di amici. L’alimentazione è un sistema complesso che non esclude gli aspetti legati alla cultura e alla tradizione gastronomica che abbiamo il diritto di preservare ma non di utilizzare come alibi per poter giustificare un consumo smodato.

    Gli antichi romani, grandi cultori e consumatori di vino consigliavano nella massima est modus in rebus, un equilibrio, al fine di poter condurre una vita non di privazioni, quanto piuttosto di piccoli e buoni piaceri.

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    frutta e verdura di stagione

    Frutta e verdura di stagione sono più sostenibili?


    Le Linee Guida per la Sana Alimentazione raccomandano di mangiare almeno 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, preferibilmente di stagione. Cosa vuol dire di stagione? Che differenza c‘è tra un prodotto di stagione e non? Seguire la stagionalità crea meno danno all’ambiente?

    Frutta e verdura di stagione: facciamo chiarezza


    Quando si va al supermercato è diventata prassi trovare una gran varietà di frutta e verdura in ogni periodo dell’anno; fragole, pesche, kiwi, uva, mele sono alcuni esempi di frutta che volendo possiamo acquistare sia d’estate che d’inverno. Spesso, però, ci dimentichiamo che i prodotti vegetali seguono una loro stagionalità e che quindi non dovrebbe essere normale, ad esempio, trovare le albicocche sui banchi a dicembre.

    Nonostante gli ormai evidenti cambiamenti climatici, il clima scandisce per frutta e verdura la loro naturale crescita, maturazione e raccolta, permettendo quindi di creare un preciso calendario per ogni tipologia di frutto o pianta. Questo, oltre che rispettare la ciclicità della natura, garantisce anche di ottenere prodotti più gustosi. È bene ricordare, inoltre, che i prodotti freschi stagionali apportano dei vantaggi non solo a noi consumatori, ma anche all’ambiente.

    Stagionalità globale e locale

    Andiamo per gradi: è importante fare una distinzione tra stagionalità locale e stagionalità globale. La prima si riferisce ad un prodotto la cui zona di produzione e consumo coincidono, ad esempio in Italia i mandarini vengono raccolti in autunno, un mandarino che quindi è stato raccolto a novembre e consumato nelle settimane successive si definisce di stagione locale.

    Per stagionalità globale, invece, si fa riferimento ad un prodotto che è stato coltivato in un paese secondo la sua stagionalità ma che non viene poi necessariamente consumato nello stesso luogo dove è stato raccolto, ad esempio i kiwi che troviamo al supermercato in autunno/inverno, sono stati coltivati e raccolti in Nuova Zelanda in coincidenza al loro giusto periodo di coltivazione. Sono stati quindi trasportati in Italia dove appunto non è ancora la loro stagione. Secondo questi due tipi di stagionalità, la scelta più sostenibile risulta essere il prodotto stagionale locale, visto che non deve mettere in conto gli effetti negativi derivanti dal trasporto.

    L’impatto ambientale

    Secondo gli esperti una scelta più rispettosa dell’ambiente può essere comprare un prodotto locale e stagionale che però non sia stato coltivato in serra. Riguardo l’impatto ambientale è importante fare una distinzione tra i prodotti vegetali in base alle diverse tecniche di produzione. Se paragoniamo le emissioni di gas serra di un prodotto trasportato via aria ma coltivato secondo stagione con quelle di un prodotto coltivato in serra, è il secondo a registrare un’impronta carbonica più alta.

    La coltivazione in serra ha sicuramente dei vantaggi, in quanto utilizza meno terreno e pesticidi e riduce lo spreco grazie anche ad alti rendimenti. L’altra faccia della medaglia è che essa esige elevate richieste energetiche per l’illuminazione artificiale, riscaldamento e refrigerazione. Si stima che gli impatti derivanti dalla coltivazione in serra possono arrivare ad essere il doppio di quelli prodotti dal trasporto.

    Ad esempio: le mele coltivate ad ottobre spesso le ritroviamo nell’agosto successivo perché sono state refrigerate per ritardarne la maturazione. Forse vi stupirà scoprire che questa pratica inquina di più rispetto a raccogliere localmente e stagionalmente le mele in Nuova Zelanda per poi commercializzarle e mangiarle in Europa.

    I vantaggi per i consumatori: acquistare o no frutta e verdura di stagione?


    Ma veniamo ai vantaggi per noi consumatori, perché è più conveniente acquistare e consumare prodotti di stagione? Sono sostanzialmente due i motivi. Il primo: ci guadagna “il nostro portafoglio”. I prodotti di stagione proprio perché di stagione hanno ottime rese e soprattutto non richiedono gli stessi costi di una coltivazione in serra, sono quindi più economici!

    La seconda motivazione, ma non meno importante, è che i prodotti di stagione sono anche più nutrienti, molti studi infatti testimoniamo come durante la conservazione alcuni livelli di micronutrienti si abbassano, il valore nutrizionale della frutta e della verdura infatti è più alto immediatamente dopo la raccolta e diminuisce via via nel tempo durante refrigerazione, trasporto e immagazzinamento (si parla comunque di perdite minime se confrontate con i benefici complessivi derivanti dal consumo di frutta e verdura).


    Ricapitolando, questi sono i 4 consigli per acquistare frutta e verdura riducendo le emissioni di gas serra:

    1. Riduci l’acquisto di cibi altamente deperibili fuori stagione e trasportati per via aerea come ciliegie, frutti tropicali, asparagi. Cerca sempre di acquistare prodotti italiani (o Europei) ma di stagione.
    2. Impara a riconoscere frutta e verdura di stagione. Seguendo questo link puoi trovare una mappa interattiva che ti permette di conoscere la stagionalità di frutta e verdura in base al Paese di coltivazione, stagione e mese.
    3. Riduci l’acquisto di prodotti mediterranei fuori stagione coltivati in serre. Ad esempio, se a dicembre trovi delle fragole provenienti dalla Puglia quasi sicuramente derivano da una produzione in serra.
    4. Riduci i prodotti già pronti come insalate in busta o frutta già affettata in vaschette.

    Bibliografia:
    CREA, 2018. Linee guida per una sana alimentazione. https://www.crea.gov.it/documents/59764/0/LINEEGUIDA+DEFINITIVO.pdf/28670db4-154c-0ecc-d187-1ee9db3b1c65?t=1576850671654
    EUFIC, 2020. La frutta e la verdura di stagione sono migliori per l’ambiente? https://www.eufic.org/it/vita-sana/articolo/la-frutta-e-la-verdura-di-stagione-sono-migliori-per-lambiente#ref5
    Theurl, M. C., Haberl, H., Erb, K. H., & Lindenthal, T. (2014). Contrasted greenhouse gas emissions from local versus long-range tomato production. Agronomy for Sustainable Development, 34(3), 593-602.

    Menopausa: perchè si ingrassa?

    Per molte donne il sopraggiungere della menopausa può essere motivo di ansia e preoccupazione. Uno degli aspetti che contribuisce a rendere questa fase di vita allarmante è questione bilancia: la menopausa sembra essere una condanna all’aumento del peso e conseguente peggioramento della salute e della forma fisica.

    Ma da che cosa dipende questo cambiamento? La menopausa coincide con un riarrangiamento di alcuni ormoni come l’ormone follicolo stimolante (FSH) ed estradiolo. I cambiamenti dell’assetto ormonale possono sì incidere sul metabolismo, ma è veramente questa la causa?

    Menopausa: una condanna per quanto riguarda il peso?

    Sono stati fatti diversi studi volti ad approfondire le cause dell’aumento di peso in donne che si avvicinano o che raggiungono la menopausa. Le osservazioni sono state fatte da diverse prospettive ed è interessante analizzare soprattutto due di queste: il cambiamento nell’assetto ormonale e il conseguente cambiamento dello stile di vita.

    Innanzitutto è stato osservato come l’aumento di peso si assesti attorno ad una media che va dai 2,1 Kg ai 5 Kg in totale. Questa variazione è stata collegata al riarrangiamento ormonale di cui sopra, ma non tanto per una variazione metabolica. La causa efficiente dei chili guadagnati è un cambiamento dello stile di vita stimolato dalla riduzione dell’estradiolo e l’aumento dell’FSH. Diverse ricerche a partire dagli anni ’90 hanno evidenziato come col sopraggiungere della menopausa le donne tendano a mangiare di più e a muoversi di meno.

    Un’aumento delle quantità a tavola in combinazione con una riduzione dell’attività fisica è la ricetta perfetta per mettere su qualche chilo. La buona notizia è che, essendo principalmente causato dallo stile di vita, l’ingrassamento anche in questo caso non è una condanna ma una condizione che può essere tranquillamente tenuta sotto controllo.

    menopausa

    Alcuni consigli per gestire il peso in menopausa

    “Prevenire è meglio che curare” è un detto che anche in questo caso si dimostra efficace. La ricerca ha dimostrato come le donne sovrappeso in menopausa siano aumentate negli anni. Questo però non è dovuto alla scomparsa del ciclo mestruale, quanto piuttosto ad un aumento generale dell’obesità nella popolazione. Affrontare una fase in cui il corpo non fa altro che dirci “mangia” ribellandosi a qualsiasi tipo di sforzo in una condizione già di sovrappeso e scarsa attività è sicuramente deleterio.

    Il consiglio più efficace è quindi quello di arrivare preparate e mantenere il proprio corpo attivo in tutte le fasi di vita. Basta veramente poco per fornire all’organismo i giusti stimoli: 20 minuti di esercizio fisico al giorno abbinati al rifiuto di ascensore e mezzi per le brevi distanze.

    Tuttavia in qualsiasi momento l’essere sovrappeso è una condizione reversibile, per quanto invecchiare lo renda un processo più complicato per entrambi i sessi. Le donne che dovessero raggiungere la menopausa in condizioni anche di obesità non devono quindi rassegnarsi: la soluzione esiste.

    Menopausa ed obesità

    La gestione dell’obesità in menopausa non è certamente un qualcosa di banale. Devono essere messi in conto diversi aspetti dei soggetti: condizioni di salute, condizioni psicologiche, qualità del sonno ed ovviamente stile di vita. E’ stato evidenziato come la soluzione migliore per le donne che si ritrovano in questa condizione sia una dieta a bassissima energia (VLED).

    Questo protocollo prevede una dieta a dosaggio calorico minimo (circa 800) abbinata ad una dose personalizzata di attività fisica. L’accoppiata porta l’organismo ad esaurire il glicogeno (prima fonte di energia in caso di carestia) e di conseguenza ad affidarsi al consumo del grasso di deposito per far fronte ai consumi quotidiani. La condizione metabolica che viene a crearsi in circa due giorni porta ad un abbattimento della fame e conseguente facile gestione del piano alimentare da parte della paziente. E’ chiaro come si tratti di un trattamento drastico che non va assolutamente iniziato in autonomia, ma sempre sotto la supervisione di un professionista.

    Bibliografia

    Proietto J., Obesity and weight management at menopause, Australian Family Physician, Volume 46, Issue 6, June 2017

    intestino irritabile

    Intestino irritabile: esiste una dieta efficace?

    L’intestino irritabile è una sindrome estremamente diffusa, spesso motivo di disagio per coloro i quali ne sono affetti. Molto frequentemente il nutrizionista entra in contatto con pazienti che lamentano di soffrirne e che richiedono una dieta personalizzata che possa attenuarne i sintomi. Esiste quindi una dieta efficace contro il destino irritabile? La scienza ha alcune risposte in merito.

    Low FODMAP: una dieta contro l’intestino irritabile

    Di fronte a questa sindrome la risposta dietetica principe è la low FODMAP: un regime alimentare che punta all’eliminazione, o alla stretta limitazione, di alcuni alimenti identificabili come carboidrati a catena corta. In particolare con FODMAP si intende: oligo-, mono- , di-saccaridi e polioli fermentabili. Parliamo dunque di molecole quali lattosio, fruttosio, polialcoli e altri carboidrati contenuti in diverse varietà di alimenti.

    Questa dieta è stata codificata dalla Monash University ed è tra le più efficaci nell’alleviare i sintomi del colon irritabile. Essa viene applicata di routine sui pazienti attraverso un ciclo che prevede l’eliminazione di tutti i cibi contenenti le molecole sopracitate per circa due mesi per poi, monitorando la risposta dell’organismo, reintrodurli gradualmente.

    A livello pratico la limitazione riguarda le seguenti categorie di cibo:

    • Dolcificanti
    • Legumi
    • Latticini
    • Alimenti contenenti glutine (pasta, pane e i derivati del frumento)
    • Frutta secca
    • Alcune varietà di frutta e verdura

    L’intervento di un nutrizionista o medico diventa quindi decisivo per riequilibrare un piano nutrizionale che sia completo pur privo di tutte queste categorie di alimenti. A partire dalla sesta/ottava settimana, qualora vi sia una remissione dei sintomi, si procede con la graduale reintroduzione.

    La low FODMAP non è assolutamente una dieta pensata per chi ricerca il dimagrimento, ma è specifica per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile.

    Spostando il focus sui cibi che invece possono essere consumati possiamo citare: mais, riso, bevande vegetali di soia, frutta come: banane, mirtilli, pompelmo, uva; verdura come: peperoni, melanzane, fagiolini, lattuga; formaggi stagionati. Ovviamente possono essere consumate anche fonti proteiche come carne, pesce e uova.

    dieta intestino irritabile

    Low FODMAP: quanto è efficace contro l’intestino irritabile?

    L’università di Melbourne ha condotto una ricerca che mettesse a confronto questo approccio con altri piani alimentari riconosciuti per avere effetti rilevanti contro questa fastidiosa sindrome. In particolare sono state confrontate: dieta mediterranea, dieta senza glutine e approcci non nutrizionali come yoga e ipnoterapia.

    Lo studio ha evidenziato risultati nettamente più incoraggianti da parte della low FODMAP rispetto agli altri approcci o rispetto a terapie con probiotici o alimentazione standard. In particolare le statistiche ci dicono che la dieta elaborata dalla Monasch University ha un’efficacia del 70%. Nulla vieta, nel caso in cui questo regime alimentare non funzionasse, di provare con altre soluzioni anche combinate.

    Diagnosi e “fai da te”

    La sindrome dell’intestino irritabile non è un disturbo che viene auto-diagnosticato. Fondamentale è infatti la figura del medico nell’individuazione dei sintomi e nell’escludere altre patologie attraverso una diagnosi differenziale. Qualora ciò sia stato fatto, è consigliabile recarsi da uno specialista della nutrizione (come il medico stesso) che individui l’approccio corretto da applicare alla persona. Esistono diversi sotto-tipi di low FODMAP e ciascuno può essere adattato su misura alle esigenze e caratteristiche dei singoli pazienti. Il fai da te, soprattutto in questo caso, può essere inefficace come anche controproducente.

    Se sei affetto da sindrome del colon irritabile prenota una visita con un nutrizionista certificato per elaborare diete low fodmap

    Fonti

    Manning et al, Therapy of IBS: Is a Low FODMAP Diet the Answer?, Front. Psychiatry, 31 August 2020, Sec. Psychological Therapy and Psychosomatics, https://doi.org/10.3389/fpsyt.2020.00865

    Jacqueline S Barrett, How to institute the low-FODMAP diet, J Gastroenterol Hepatol,  2017 Mar;32 Suppl 1:8-10. doi: 10.1111/jgh.13686.

    Monash University: low FODMAP